In passato l'educazione socio-affettiva veniva considerata come un elemento non rilevante, quasi un'appendice, un supplemento nella formazione della persona. Oggi è ritenuta l'humus sul quale si forma la stessa educazione cognitiva ed il vero centro formativo indispensabile e caratterizzante alla vita di relazione dei ogni persona1.
L'educazione affettiva è il punto di partenza per formare i bambini e i ragazzi ai valori etici e morali, ai modelli comportamentali, agli stili di vita che vorranno scegliersi nell'età adulta. Conseguentemente è il substrato sul quale adegueranno il loro stile di apprendimento e la loro specifica personalità cognitiva2. L'educazione affettiva, o emozionale, si forma e si attua primariamente nella famiglia e costituisce la parte più consistente e di valore dell'educazione familiare3.
Il processo quotidiano di costruzione sociale della realtà produce emozioni e sentimenti che sono sostenuti incessantemente da processi di gruppo dove nascono e si sviluppano le relazioni che esistono, non in quanto frutto di un sentire personale, ma come frutto di interazioni sociali in continua trasformazione.
Le “culture emozionali” hanno necessità di tempi di formazione lunghi, si assimilano e si apprendono lentamente nel vivere quotidiano. Si costruiscono mattone per mattone ma danno luogo ad edifici differenti pur costruiti con lo stesso materiale di base. La costruzione originale ha luogo da mattoni generici disposti su un disegno determinato dalla personalità. La lenta costruzione dell'educazione affettiva rende il suo valore impercettibile, impalpabile, ma determina i cambiamenti e le determinazioni più importanti: forma la parte integrante della costruzione sociale della realtà, mutando lentamente, procedendo per scarti, per vie spesso tortuose e imprevedibili, attraverso percorsi non sempre intenzionali, e soprattutto grazie ad uno sviluppo intersoggettivo che non si lascia sempre guidare.
Il minore accolto, in famiglia o in struttura, giunge con il suo vissuto emotivo che lo ha formato sino a quella età. Nel bene e nel male è tutto il capitale che possiede ed è lo strumento mediante il quale lui interpreta la realtà e del quale bisogna tenere conto.
Cambiare famiglia non è facile (nemmeno per un adulto) poiché in ogni famiglia esistono regole esplicite ed implicite che la regolano nel suo insieme e non è detto che ciò che è valido e utile per una lo sia anche per altre. Di qui inizia un doppio processo da un lato la famiglia accogliente deve progredire con dolcezza nel manifestare le proprie regole e soprattutto quella che ritiene la sua priorità, dall'altra da parte del minore deve essere presente uno spirito di flessibile possibilità di cambiamento e quindi è necessaria la sua interiore o palese condivisione e condiscendenza. Il processo non è facile soprattutto perché deve essere condotto sul doppio binario e sulla messa in discussione di ogni cosa sia da parte del minore (cosa difficile se è già adolescente) e sia da parte delle famiglie accoglienti. Queste ultime spesso cadono nella trappola del presunto mancato riconoscimento da parte del minore del lavoro che si sta facendo per lui e per la sua accoglienza.
La restituzione affettiva o di considerazione della famiglia accogliente per ciò che fa sul piano solidale non è immediato né si deve pretenderlo da parte del bambino. Il fatto di essere famiglia accogliente non significa che questo stato salvaguarda da errori e da falsi obiettivi, né significa che senza ombra di dubbio si operi per il bene del bambino. Si farebbe un grave torto al minore se si volessero imporre regole che non gli appartengono o regole che non hanno subito un processo interiore di appartenenza. Se le minime cose del vivere quotidiano vengono viste come un gesto di opposizione, è la fine dell'incanto e l'inizio della fase del sospetto che finisce sempre ed inevitabilmente con la separazione. È assolutamente necessario che la famiglia accogliente abbia chiare le tappe della formazione propria e del bambino.
Nell'affrontare questa complessa materia riporterò soprattutto gli elementi di studio consolidati lasciando agli specialisti la valutazione e l'applicazione dei postulati più recenti4.
Nell'area del normale sviluppo adolescenziale si considera fattore di crescita il disagio esistenziale che colpisce il giovane soprattutto nell'età compresa tra i 15 e i 18 anni. Il disagio endogeno ha origini nei mutamenti psicofisici che si susseguono nel giovane di cui egli stesso ha percezione osservando il proprio corpo e osservando il mutare dei suoi pensieri e delle sue emozioni. Il disagio esogeno è quello determinato nel constatare un ambiente, ora accogliente, ora respingente, nel quale deve confrontarsi per averne accettazione. Questo disagio determina una diversa relazione familiare e una diversa relazione tra pari che in una sorta di doppio specchio vede riflesso se stesso e come pensa che gli altri lo vedano. Potremo definire questo ambito come quello di normale sviluppo fisiologico.
A questa si contrappone un'area definita pseudo-patogena che comprende comportamenti attivi e subiti tutti di segno negativo: devianza, emarginazione, disadattamento, disagio cronico. La devianza è un comportamento di accentuata gravità che viola le regole normative, le intenzioni e le attese dei sistemi sociali. Con emarginazione si intende il discostarsi accentuato del giovane da un contesto sociale che lo vede elemento passivo. Anche in questo caso si dovrebbe fare una valutazione attenta per soppesare l'emarginazione indotta dal contesto e l'emarginazione indotta dal giovane stesso5.
Il disadattamento è un comportamento sociale in cui si sottolinea la matrice attiva di reazione al contesto, più che un disadattamento esogeno imposto da contesto di vita del giovane. Si è disadattati perché non ci si conforma alla realtà generando un proprio malessere. Il disagio adolescenziale cronico è riferibile ad una intensa e specifica incapacità a rispondere ai compiti propri dell'età ed è legato all'interazione di fattori di rischio individuali e locali che si innestano sulle manifestazioni di malessere endogeno ed esogeno propri dell'adolescenza.
Nel minore accolto possono essere presenti stati d'animo che portano a situazioni in cui si accentua l'emarginazione, il disadattamento e il disagio. Chiaramente il minore accolto nella prima infanzia ha maggiori possibilità di entrare in un dialogo comunicativo con la famiglia accogliente, mentre l'adolescente maltrattato, con un passato di violenza subita e praticata, ha maggiori difficoltà ad accettare quanto la famiglia accogliente propone come modello e come regola comportamentale.
Tutto questo fa dire che l'accoglienza di un preadolescente è difficile. Questo non significa che sia impossibile, ma solo che la famiglia accogliente e i Servizi devono essere preparati ad affrontare i problemi che si porranno. L'affido o l'adozione di un adolescente sono condizionati dal livello di preparazione, dal livello di impegno e dal livello di depauperamento subito dall'adolescente prima di essere accolto.
Per la famiglia accogliente è una sfida alla propria compattezza, al proprio orgoglio, al proprio saper fare e saper voler bene. Per il servizio psicosociale è una sfida alla capacità e all'impegno professionale. Una sfida a rischio di insuccesso sul piano personale di famiglia e servizi, ma non è detto che in tal caso sia totalmente negativa per l'adolescente stesso. Quale altra occasione avrebbe il minore di avere un imprinting costruttivo? Quello dell'abbandono in qualche struttura spersonalizzante?
Possiamo indicare in cinque i comportamenti di disagio prevalenti:
1. Disconnessione. Si basa sul disagio che nasce nelle famiglie che hanno una disconnessione con il mondo reale. In esse è debole la relazione sociale sia al proprio interno che con la realtà esterna. È frequente nelle famiglie di origine, ma si può verificare anche nelle famiglie accoglienti (si verifica in alcune case famiglia con forte impronta confessionale, ad esempio) troppo chiuse nel loro mondo utopico di distacco dalla realtà che l'adolescente deve affrontare. Ha come conseguenza la chiusura al mondo.
2. Iperadeguamento. Riguarda l'atteggiamento di iper adeguamento al contesto esterno che diviene di riferimento assoluto del vivere. È la situazione in cui fiorisce l'iperconsumismo degli oggetti socialmente irrinunciabili. Questo disagio è tipico di chi ha difficoltà di interazione sociale e finisce con accettare solo valori parziali, precari ed effimeri. In questa trappola sociale cade spesso la famiglia d'origine che regala ai bambini oggetti stereotipi del marketing televisivo, ma si verifica anche in alcune famiglie accoglienti che sommergono con la loro disponibilità di beni materiali i bambini con il rischio di seppellire sotto questa abbondanza i problemi della quotidianità di relazione6. Ha come conseguenza l'identificarsi in mode, in stereotipi che limitano l'acquisizione di una identità propria.
3. Disadattamento. È rappresentato da difficoltà che intervengono nei processi di crescita per la presenza di relazioni inadeguate. Si verifica sia in famiglia di origine che in famiglia accogliente, ma anche nel gruppo dei pari nell'infanzia e nell'adolescenza. Sostanzialmente possiamo definirla come una mancanza di sintonia o come un suonare stonato. Ha come conseguenza reazioni sociali inadeguate.
4. Forza fisica e seduzione. È il disagio creato dall'uso improprio di alcuni strumenti tipici della sfera maschile e femminile. Solitamente nasce da situazioni vissute nella famiglia di origine. Nei maschi il ricorrere alla forza fisica per risolvere i problemi è frequente ed è dovuto a modelli intrafamiliari o a modelli assunti nel gruppo dei pari. La seduzione femminile è parimenti una componente frequente nell'adolescenza in cui le ragazzine esercitano gli strumenti propri della femminilità. L'uso improprio è solitamente generato da un vissuto di sensibilizzazione. Ha come conseguenza comportamenti antisociali, ma anche comportamenti rivolti verso la stessa persona (depressione, disturbi alimentari, l'ansia e le fobie sociali).
5. Trasgressione. Si riferisce alla propensione al rischio all'interno dei gruppi giovanili di comportamenti che comportano danni alla salute e alla sicurezza di se stessi o di altri. Nell'adolescenza la trasgressione ha un fascino molto grande. La trasgressione individuale e familiare nasce dal voler porre in discussione il modello presentato dalla famiglia accogliente, talora anche rivedendo con fascino le disarmonie vissute nella famiglia di origine. Questo è un momento certamente delicato per le famiglie accoglienti. Oltre a questo tipo di trasgressione, esiste anche la ribellione ad un modello sociale che si vuole mutare alla ricerca di una collocazione della propria identità. In questo campo la famiglia accogliente ha di solito strumenti validi per guidare l'adolescente facendo leva sugli affetti e sull'appartenenza che dovrebbero essersi instaurati. Se così non accadesse significa che il trapianto non si è ben realizzato7. Ha spesso come conseguenza "comportamenti a rischio" quali l'uso di sostanze psicotrope, fumo o alcol, la mancanza di pianificazione e sicurezza nell'ambito dei rapporti sessuali, la dedizione ad una dieta squilibrata, la violazione delle regole stradali. L'insieme di questi comportamenti significa la degenerazione verso anomalie sociali sistemiche e croniche.
L'adulto ha costruito la sua componente socio-affettiva nella famiglia a partire dalla prima infanzia e l'ha elaborata nelle età successive. Questa è una dimensione che esige un apprendimento costante e senza tempo perché continuiamo a costruire la nostra dimensione affettiva sino alla tarda età. Nella famiglia ciascuno di noi ha imparato ad avere emozioni, a dominarle, a condividerle, ma gli apprendimenti socio-affettivi dell'infanzia sono semi-permanenti e condizionano gli apprendimenti successivi. Nella famiglia abbiamo anche appreso la nostra dimensione, i nostri bisogni affettivi, come manifestarli, come leggere le emozioni negli altri e come prevedere le nostre e le altrui reazioni8.
Ormai molti lavori dimostrano che il modo in cui i genitori gestiscono i loro sentimenti reciproci e il modo in cui si relazionano con i bambini hanno conseguenze profonde e durature per la loro vita emotiva. I figli sono estremamente attenti alle emozioni, ai comportamenti e ai sentimenti espressi e inespressi dei genitori: sono attenti a interpretarli, a confrontarli con la realtà e con gli altri. Sono attenti a farne modelli da acquisire o modelli da rifiutare. Questo atteggiamento è proprio dell'adolescenza quando il crogiolo familiare viene messo in discussione sovente determinando un ribollire agitato fintanto che non prende il sopravvento la singola personalità autonoma dei figli.
I comportamenti inadeguati più comuni dei genitori sono:
a) Ignorare i sentimenti, le emozioni dei figli. Questo comportamento è sbagliato perché non permette di avvicinarsi al bambino per aiutarlo ad apprendere le competenze emozionali. Il bambino tenderà a ritenere non importante il suo aspetto emozionale avviandolo ad un silenzioso e depressivo inaridimento del profondo delle sue qualità che potranno portarlo a uno scollegamento con il mondo che lo circonda. Nel bambino accolto questo aspetto è particolarmente significativo poiché può essere già presente a causa del comportamento della famiglia di origine (e allora è necessario svolgere un programma di rieducazione ai sentimenti, alle emozioni personali ed altrui), oppure è indotto dalla famiglia accogliente (capita raramente, ma capita). In quest'ultimo caso difficilmente la famiglia si accorge di questo suo comportamento: è solo il confronto con altre famiglie che le permette di rilevarlo.
b) Assumere un atteggiamento troppo incline al lasciar fare. Il lasciar fare non è una astuta soluzione per avviare il figlio all'indipendenza: è un non curarsene di metodo. I lasciti di questo comportamento sono sempre devastanti a lungo termine determinando nel figlio una valutazione negativa del genitore inaccudente e determinando una non presa di valore della propria tempesta emotiva come valore anche per gli altri. Nel bambino accolto questa situazione può essere determinata dalla famiglia di origine. Se è piccolo si potrà correggere questa inclinazione, se è grande è più difficile e bisogna spendere energie e attenzione per rimuovere quanto è possibile questo fattore non costruttivo. Nel caso in cui sia la famiglia accogliente ad avere l'atteggiamento di lasciar fare, il problema è grave anche se apparentemente non sembra accadere nulla. Il bambino viene già da una situazione di inaccudenza, di distacco, pensare di correggere questo handicap con il lasciar fare è colpevole. Una colpevolezza che si basa su un comportamento di irresponsabilità verso la loro funzione e soprattutto verso il futuro formativo del figlio accolto.
c) Essere sprezzanti. Questo comportamento è anch'esso sempre deleterio perché mina la costruzione dell'autostima del bambino e soprattutto determina in lui il non rispetto dei sentimenti altrui. Trattare il bambino accolto con sprezzo, con distanza, con ipercritica è quanto di peggiore si possa fare.
Cercare di prendere sempre sul serio il bambino è l'atteggiamento giusto soprattutto per comprendere i suoi motivi di entusiasmo e di turbamento e per tentare di aiutarlo a trovare un lato positivo per affrontare il problema senza arrabbiarsi troppo. Di fronte ad una arrabbiatura verso un compagno violento è bene cercare di avviarlo a risolvere il problema con altri mezzi che non sia una baruffa: educarlo alla dialettica e al governo delle emozioni senza reprimerle, ma senza lasciare che esse divengano incontrollabili.
I genitori devono favorire la crescita emotiva dei figli come un allenatore favorisce la crescita sportiva di un atleta. Per svolgere questo compito devono essere genuinamente essi stessi (l'empatia non si può trasmettere se non la si pratica) e devono avere una buona esperienza di relazione umana con i propri figli. Devono essere capaci di insegnare ai figli le differenti sfumature tra i sentimenti e a farli vivere senza reprimerli entro se stessi (non si è forti perché non ci si emoziona). Si deve far conoscere loro l'emozione e la felicità degli affetti, ma anche l'interiorità della tristezza e della malinconia e della nostalgia. Sono mille le occasioni in una famiglia per gioire assieme di eventi dell'uno o dell'altro e altrettanti gli episodi in cui ci si raccoglie nella tristezza riflessiva, nel ricordo struggente, nella speranza del vivere attivo. Anche la collera, che ogni tanto ci colpisce, è una manifestazione positiva, è il segno della sofferenza altrui che si rivolge verso l'esterno, che richiede comprensione e contenimento. Educare ai sentimenti non significa covarli sotto la cenere, ma abituarsi a manifestarli a renderli partecipativi all'altro nella condivisione del vivere.
Si deve anche considerare che non è opportuno rinviare certi insegnamenti emotivi a quando i figli saranno grandi. L'educazione ai sentimenti non è l'educazione alla sessualità che deve essere appresa al tempo opportuno. L'empatia la si apprende già nei primi mesi di vita e l'intelligenza emotiva si presenta vivida già nei primissimi anni di vita. Le capacità socio-affettive che i ragazzi acquisiranno più tardi andranno ad aggiungersi a quelle che già si sono apprese prima senza operare grandi sostituzioni, ma implementando e rimodellando quanto appreso nelle età giovanili.
Prendiamo ora in considerazione l'importanza dell'educazione socio-affettiva in due situazioni. La prima riguarda il successo formativo e la seconda l'appartenenza di un figlio accolto alla nuova famiglia. Sono due punti chiave nella formazione personale per i quali l'azione dei genitori è fondamentale.
Il successo formativo. Il successo scolastico, come quello nella vita, non è un fatto “tecnico” di somma di conoscenza, ma di capacità di acquisire conoscenze in modo flessibile e con alta motivazione e passione interiore. Queste sono qualità che vengono acquisite in massima parte in modo imitativo vedendo come gli altri si comportano e quindi in massima parte sono acquisite nella famiglia. Per questo è utile che il genitore abbia la consapevolezza di costituire un modello con il quale il figlio si confronterà. Se il genitore trasmetterà sicurezza, ponderazione, capacità riflessive, ma anche passione, impegno familiare e civile, il figlio non potrà che porsi in modo da valutare quanto questi comportamenti siano adatti alla sua personalità.
Troppo spesso questo genere di argomenti si concludono con un “sono fatto così” che è una posizione di arroccamento per non essere scalfiti da quanto gli altri ci dicono. L'empatia è esattamente l'opposto, è l'aprirsi all'altro con positività per accoglierne le osservazioni e per meglio sostenere le proprie convinzioni. Concludendo i bambini che hanno genitori capaci di essere allenatori emotivi saranno bambini con grandi vantaggi sociali.
Il successo del bambino a scuola dipende dalla più fondamentale di tutte le conoscenze: il come imparare. I sette fondamenti di come imparare sono determinanti socio-affettivi: fiducia, curiosità, intenzionalità, autocontrollo, connessione, capacità di comunicare, capacità di cooperare. Sono tutte qualità che il genitore dovrebbe cominciare ad infondere nel bambino già prima che arrivi alla scuola, e sono qualità che il genitore deve far coltivare al bambino durante tutta la sua scolarità (sono importanti anche per avvicinarsi allo studio universitario). Questi sono infatti i fattori emotivi fondamentali per governare le fasi di passaggio (da una scuola all'altra, da una età all'altra) e le fasi di rafforzamento dell'impresa di accoglienza avviata. È inutile dire “devi studiare di più” ad un bambino che non ha voglia di studiare! Si deve invece agire mediante questi sette fattori emozionali per cercare lo “spillo” che gli impedisce di studiare. Rimosso lo spillo il bambino riprenderà a studiare perché sentirà la gratificazione in quello che fa. Si deve riconoscere che la difficoltà è proprio nel trovare lo spillo che talora è nascosto da un vero pagliaio di turbamenti e di pensieri annodati in continua evoluzione.
L'appartenenza familiare. È questo un punto più sfumato, fatto più di modi di sentire che di fatti materiali. Tuttavia, la sua evidenza non si basa su discorsi di filosofia, ma su risposte concrete legate al modo di vivere del bambino con i componenti della famiglia. L'appartenenza familiare non ha nulla a che fare con quel che si dice la “riconoscenza”, anzi è lontana da espressioni che abbiano anche il minimo valore di ”restituzione”. Nell'accoglienza non vi è nulla da restituire perché per sua natura deve essere gratuita. L'appartenenza familiare è un sentimento che accomuna la famiglia nel sentire e nel percepire e nell'interpretare il mondo lasciando libera e valorizzando la dimensione personale. L'appartenenza mantiene unito anche chi è diverso, chi la pensa in modo diverso e chi vive in modo diverso, perché nell'appartenenza è insita l'accoglienza del diverso. Riuscire a trasmettere ai propri figli, naturali o accolti, questo modo di sentire è il massimo di eredità che un genitore possa dare.
La sofferenza del bambino
Le sofferenze più comuni dell'infanzia accolta sono ascrivibili all'essere stati costantemente ignorati e deprivati dell'attenzione o dell'affetto da parte dei genitori. Portatore finale di grande stress è anche la condizione di essere stati abbandonati o di essere stati da loro “respinti”. Queste azioni possono raggiungere un livello di trauma elevato, ma anche un livello non troppo significativo. Certamente lasciano nel bambino ferite e cicatrici, ovvero segni a livello mentale creando disadattamento in situazioni successive della vita.
Quando il bambino è oggetto di grave violenza come percosse ripetute, azioni fisicamente dolorose non spiegabili e soprattutto in situazioni che lui non può controllare essendo impotente (da gravi percosse a bruciature con sigarette, a traumi ossei o traumi interni) che gli generano forte dolore inspiegabile dalla persona di suo riferimento affettivo, oppure di violenza sessuale, possiamo dire che subentra una sindrome simile a quella descritta come Ptsd (sindrome del disturbo da stress post-traumatico). Questa sindrome è presente in chi ha subito un forte trauma che ha un segno cerebrale permanente a carico della amigdala9. Il Ptsd è un fenomeno caratteristico di tutti i traumi emotivi, compresi quelli dovuti a maltrattamenti fisici ripetuti durante l'infanzia.
Sebbene il Ptsd insorga solitamente a causa dell'impatto di un singolo episodio, risultati simili possono aversi anche in seguito a crudeltà inflitte nell'arco di anni, come avviene nel caso di bambini maltrattati o violentati dal punto di vista fisico, sessuale o psicologico. Le parole chiave su cui si basa questa sindrome è che l'evento sia incontrollabile dal soggetto che subisce e che si senta soggettivamente impotente di fronte all'evento stesso. Questi segni cerebrali permangono per lungo tempo e rendono il bambino più suscettibile ad ulteriori traumi. Bastano anche leggeri traumi da stress successivi per riportare il bambino in una condizione di difesa e di terrore.
Il bambino che manifesti questi sintomi deve essere curato urgentemente e la terapia oltre che psicologica è di intervento familiare essendo la famiglia il luogo dove si racchiude tutta la sua vita nella formazione dell'identità e delle relazioni con gli altri. Per fortuna, soprattutto nei bambini, questo grave disagio psichico lentamente può essere attenuato, ma certamente non potrà essere totalmente cancellato. Con il tempo, gli intensi ricordi emozionali, i pensieri e le reazioni che essi scatenano, possono modificarsi10.
I bambini possono recuperare i traumi psicologici più facilmente che gli adulti, tuttavia si deve ricordare la loro forte radicazione nell'amigdala. Le terapie sono massimamente svolte mediante gioco e possono essere condotte in ambiente controllato da uno psicologo oppure anche nell'ambiente familiare. Sostanzialmente la terapia si rivolge ad azioni che determinano il riapprendimento e successivamente la guarigione, ma è un intervento che richiede molto tempo e il bambino deve crescere ed affrontare anche tutte le altre situazioni tipiche della crescita. Questo rende particolarmente pesante il lavoro da compiere e impegna fortemente la famiglia accogliente.
La terapia psicologica riesce ad insegnare come controllare il ricordo del trauma insegnando alla neocorteccia a come inibire l'amigdala. L'inclinazione al ricordo di quanto è accaduto viene così soppressa, mentre l'emozione fondamentale rimane in forma attenuata. Questo non significa che non avverranno più crisi da ricordo, il bambino non riuscirà cancellare il ricordo, potrà solo aver imparato a controllare la durata e l'intensità della crisi.
Nel corso della terapia, inevitabilmente a lungo termine, questi bambini vanno incontro a due tipi di cambiamenti: la reazione al ricordo diviene meno dolorosa e le loro risposte divengono sempre più efficaci, evidenziando una capacità di autogenerare la positività. Quello che non cambia è il loro dolore e la loro sensibilizzazione di base. La loro capacità di apprendere il controllo dell'amigdala durerà tutta la vita ad opera della corteccia prefrontale che ha appreso una risposta nuova, più positiva.
Durante la fase adolescenziale è importante riuscire a costruire nella famiglia accogliente un dialogo aperto e di confronto leale. La comunicazione positiva si caratterizza per: scambi di messaggi chiari e congrui; capacità di risolvere i problemi attraverso il dialogo; empatia e sostegno; assenza di atteggiamenti di squalifica. La comunicazione negativa si caratterizza come chiusura, falsificazione dei messaggi, evitamento. Altri elementi da modulare sono la mancanza di coerenza delle persone di riferimento tutte prese dal “fate quel che dico, ma non a quel che faccio”, la confusione nella formulazione del contenuto del messaggio e la contrapposizione tra l'informazione verbale e il comportamento non verbale.
Durante l'adolescenza, le problematiche con la famiglia sono più spesso legate alla tematica della autonomia-dipendenza e quindi all'osservanza delle regole circa orari e libertà personale (“questa casa non è un albergo”, una frase infelicissima che se non abbiamo detto, abbiamo almeno pensato), per i tentativi di intromissione nelle scelte dell'adolescente, sia in campo scolastico che sentimentale.
Come ha fatto notare Palmonari11, lo sviluppo di relazioni privilegiate con un gruppo di coetanei, riconosciuti simili a sé e diversi dagli altri, non costituisce un elemento di conflitto tra gli adolescenti e i loro genitori, piuttosto può essere inteso come una modalità per "riempire il vuoto" creato dall'allontanamento dalle figure genitoriali.
Durante questo periodo è centrale il ruolo che il gruppo dei pari svolge, relativamente alla soluzione di specifiche problematiche, rispetto alle quali l'adolescente non si rivolge solitamente alla famiglia (ad esempio situazioni di tipo sentimentale, legate al rapporto di coppia o al tema della sessualità). Come è noto, la famiglia e i pari svolgono funzioni diverse, e non antagoniste; in questo modo aumenta per l'adolescente la capacità di gestione autonoma nella transizione verso l'età adulta.
Il rapporto con i pari non sempre tuttavia è arricchente per l'adolescente accolto, spesso si verificano forti difficoltà relazionali e di timore del confronto che portano l'adolescente ad escludere o a limitare i rapporti con coetanei. Infatti, alcuni adolescenti sperimentano un vissuto di isolamento legato a difficoltà nel processo di socializzazione e di integrazione nel gruppo di coetanei. Viene così meno, o lo si sopprime, il bisogno di appartenenza ad un gruppo di amici che è fondamentale in questa fase dello sviluppo.
L'intelligenza emotiva consiste nella capacità di provare emozioni nella consapevolezza empatica che ci porta alla scoperta del vissuto emozionale dell'altro, facilitando i nostri scambi relazionali12.
Numerose ricerche hanno dimostrato quanto lo sviluppo dell'intelligenza emotiva sia importante per ottenere maggior soddisfazione e successo nella vita, molto di più di quanto determinato dall'intelligenza logico-matematica13. L'intelligenza emotiva si sviluppa nell'ambiente familiare e costituisce la base sulla quale si viene a formare l'intelligenza cognitiva e l'intelligenza connettiva. Anche le altre intelligenze che noi stessi esprimiamo, in grande o in piccola misura, hanno questa base imprescindibile.
Questo non significa che obbligatoriamente una persona equilibrata e di successo si formi esclusivamente in un famiglia a stereotipo sociale equilibrato. Sono molte le variabili che entrano in gioco, ma si può dire che vi sono maggiori probabilità in termini statistici che il retaggio genitoriale sia trasmesso ai figli, quindi: se la famiglia è equilibrata14 vi sono maggiori probabilità che il figlio cresca equilibrato, se è squilibrata, il figlio ha maggiori probabilità di avere disagio. L'eredità genetica ha una possibilità di incidenza limitata (alta solo nelle patologie), ma la trasmissione fenotipica di contesto e di allevamento è invece assi elevata15. I bambini cresciuti in assenza di un'educazione emozionale sono portati ad avere difficoltà ad esprimere liberamente i propri sentimenti o di poterli percepire nei volti delle persone che hanno attorno a loro: sono in sostanza emozionalmente più poveri di risorse e di capacità di comprendere le proprie emozioni e quelle altrui. Già dai primi anni di un bambino si può osservare l'acquisizione di questi insegnamenti di contesto che, se adeguatamente sviluppata, può portare innumerevoli benefici alla loro identità futura. Ne sono un esempio le doti di empatia e di altruismo che, se sono state coltivate sin dalla prima infanzia, possono essere loro di enorme aiuto in ogni contesto nel quale sono posti.
Le strategie e le situazioni di lavoro sul minore accolto devono essere indirizzate da parte della famiglia accogliente soprattutto verso lo sviluppo dell'intelligenza emotiva. L'intelligenza cognitiva trova soprattutto sviluppo nella condizione scolastica e di acquisizione di conoscenze nel contesto esperienziale. Il punto cruciale per la famiglia accogliente rimane lo stimolo ad una più efficace intelligenza emotiva distinta in aree di lavoro distinte: consapevolezza di sé, padronanza di sé, empatia, motivazione, abilità sociali. Questi fattori sono acquisiti dal bambino soprattutto in ambito familiare e sono fondamentali per costruire le qualità personali dell'adulto quali: adattabilità, flessibilità, empatia, persuasività, leadership, iniziativa. Un bambino con alte qualità cognitive e deboli qualità emotive troverà difficoltà ad esprimere anche le sue conoscenze, mentre un bambino con minori qualità cognitive e buone qualità emotive troverà il modo di esprimere il meglio di se stesso.
Nella società attuale i bambini divengono sempre più abili intellettualmente (potenziamento dell'intelligenza cognitiva), ma si assiste ad un declino dell'intelligenza emotiva. Questo fenomeno è diffuso in tutto il mondo16. È necessario insegnare ad autorealizzarsi. L'uomo è una totalità integrata e organizzata con una specifica struttura psicologica che esprime aspirazioni e bisogni: bisogno, motivazione, soddisfazione, realizzazione. Questo è il processo di realizzazione delle proprie potenzialità17.
Educare i bambini accolti, specie se particolarmente aggressivi o timidi, a sopprimere le emozioni, perché considerati sconvenienti o perché possono costituire un vizio caratteriale è sbagliato. I bambini devono essere seguiti e accompagnati verso un governo delle loro emozioni senza per questo sopprimerle. Purtroppo la soppressione delle emozioni è una pratica molto seguita dai genitori che voglio educare i figli ad essere forzatamente forti e da alcuni educatori che ritengono queste espressioni dei cedimenti rispetto al vivere razionale.
I vantaggi non sono solo quelli che si riferiscono alla vita nell'infanzia e nell'adolescenza, ben più ampia è la ricaduta giungendo alla formazione totale dell'individuo adulto determinando una minore propensione all'ansia e alla depressione18. Si deve puntare ad una forma di educazione volta allo sviluppo di una piena conoscenza della propria sfera emozionale e di tutte le modalità con le quali si può entrare in profondo contatto con gli altri: imparando a provare ed a parlare dei sentimenti, bambini ed adolescenti possono comprendere il significato dell'aggressività del maltrattamento, della violenza per sé e per gli altri.
Sebbene si stia diffondendo questo pensiero formativo, ciò che manca ancora è la consapevolezza che l'educazione ai sentimenti deve partire prima dalla famiglia e successivamente deve essere coltivata in ogni contesto nel quale i giovani in un primo tempo e gli adulti poi si trovino ad interagire.
La famiglia è dunque il luogo dove i figli apprendono l'educazione emozionale e la mettono in pratica. Il figlio accolto deve essere seguito in questo percorso con grande attenzione e con grande dedizione. Sia per attenuare le precedenti esperienze negative, sie per fargli apprendere la base del vivere emotivo, per imparare ad osservare le persone che si incontrano ogni giorno ed a leggere nei loro comportamenti il loro mondo interiore.
Il bambino accolto ha spesso la necessità di essere stimolato a focalizzare la sua attenzione sui valori e sulle dinamiche relazionali, per facilitare la conoscenza, l'accettazione e il rispetto dell'altro, per giungere poi alla collaborazione fattiva. La scelta di un tema formativo orientato all'accoglienza della diversità è mirato a far comprendere che la diversità nel contesto familiare è un valore di cui il bambino è essenza. Sono molte le opere in letteratura19 che trattano questo argomento.
Come far funzionare una famiglia accogliente in modo efficace
Il bambino accolto, a seconda dell'età, ha appreso una certa quantità di regole dagli adulti che lo hanno seguito sino a quel punto della sua vita. Inoltre, se già grandicello, ha appreso dagli altri bambini altre regole di comportamento. Queste regole potrebbero non essere di gradimento della famiglia accogliente, potrebbero essere contrarie o divergenti rispetto al proprio senso educativo, potrebbero essere sgradevoli nel contesto familiare in cui il bambino si inserisce.
Tutto questo rappresenta la normalità dato che sono due vissuti che si incontrano: è necessaria molta comprensione e molta pazienza accompagnate da fermezza e da chiarezza. Non è facile soprattutto perché differenti sono le unità di misura su ciò che potrebbe essere permesso e su ciò che potrebbe essere proibito. Ciascuno di noi, pur con tutte le più buone intenzioni, ha criteri di importanza differenti e non è facile rinunciarci. Dobbiamo considerare che anche il bambino ha suoi criteri di priorità che sono stati appresi partendo da una sua base interpretativa personale. La cosa peggiore che possa accadere è che dopo un breve periodo di “luna di miele” in cui tutto sembra andare bene perché reciprocamente ci si studia e ci si tollera, si inizi una fase di distinguo e di correzioni reciproche che se non spiegate e chiarite finiscono con determinare un alzare reciproco dello steccato comunicativo.
Tre sono le regole principali su cui lavorare per evitare situazioni via via più spiacevoli: fissare regole che possano funzionare, mantenere sempre alto il livello comunicativo, essere autorevoli e non autoritari. Facile da dire e difficile da fare! Tenuto conto che sono i genitori che devono fare il massimo sforzo, sono loro che devono trovare l'intesa reciproca ed un comportamento univoco. Questo significa che i genitori devono raggiungere un alto livello di intesa che non può che passare attraverso un continuo colloquiare e misurarsi sulle cose da fare ed i comportamenti da avere. Inutile pensare che tra papà e mamma tanta sia l'intesa reciproca da non rendere necessaria una attenzione ed una dedizione supplementare. Infatti, l'accoglienza di un minore (sia di adozione che di affido) è una esperienza nuova comunque per entrambi, anche se hanno alle spalle molti figli propri o accolti. Il primo passo da fare è quello di stabilire quali sono le regole negoziabili e quali sono quelle non negoziabili.
Per regola si intende un limite adeguato per proteggere la salute e la sicurezza e mantenere un certo ordine nella gestione della casa e del bambino. Deve essere trovato un equilibrio tra flessibilità e fermezza e ogni famiglia deve valutare gli argomenti che sono negoziabili, ovvero che hanno un qualche aspetto di flessibilità, e quelli che non sono negoziabili, ovvero che riguardano argomenti quali la sicurezza e la salute del bambino. Generalmente viene consigliato ai genitori di preparare separatamente due liste e poi attuare un confronto per trovare l'equilibrio possibile. Per rendere concreto il discorso riportiamo quelle che sono “standard”, ma che non è detto siano obbligatoriamente da adottare in ogni famiglia20. A parte alcune regole che sono di base per ogni famiglia, è chiaro che esse possono essere molto più numerose e più articolate. Ogni famiglia deve pensare a quelle che nello specifico appartengono o all'una o all'altra categoria. Tuttavia, si deve ricordare che le regole dovrebbero essere poche e chiare (Mosè ne ha scritte 10 e sono bastate). Se avete la tendenza a porre molte regole aspettatevi che vengano inattese da i figli e da voi. Tante regole significa anche tanto dibattito e tendenza a fare distinguo da caso a caso. In partenza possono anche significare una vostra debolezza perché volete strutturare tutto senza avere problemi di decidere cammin facendo secondo un discernimento di coinvolgimento e buon senso. Se sono troppo poche e tendenti ai principi hanno un profumo di regole troppo idealizzanti e tendono quindi a dare più un giudizio morale della persona che alla soluzione di un problema pratico.
Fonti
La GEA Società Cooperativa Sociale è una Cooperativa Sociale di tipo “A” (L.381/91), finalizzata alla gestione dei Servizi Socio – Sanitari ed Educativi.
Nasce a Bari–Palese nel giugno 1984 e nei diversi anni di attività ha sviluppato nell’ambito dei territori d’intervento, una rete socio–assistenziale ed educativa territoriale, sia con ...
Leggi tutto...