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Gli attori dell'Accoglienza - Quarto attore: la famiglia adottiva

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Quarto attore: la famiglia adottiva

Nell'adozione le difficoltà pratiche di maggiore rilevanza sono due: la prima riguarda il bambino, la seconda riguarda la famiglia adottiva. Entrambe le difficoltà hanno una costruzione che riguarda il contesto: difficoltà burocratiche, tempi stabiliti da iter non costruiti sugli attori dell'adozione, situazioni particolari dei paesi di origine, situazioni particolari della collocazione dei bambini, dispositivi di legge del paese di origine o del paese della famiglia adottante, ecc.

Su queste difficoltà di contesto non voglio soffermarmi poiché sono tutte di natura assai diversa in relazione alla situazione del bambino e del paese di origine. Ritengo che questo argomento trovi larga informazione, anche se spesso con meccanismi difficili da comprendere, in diversi trattati, in internet e ancor meglio sia nei servizi sociali che nelle organizzazioni che seguono queste procedure. Per i fini di questo libro ritengo importante esplorare le difficoltà pratiche che nascono nel bambino e nella coppia adottante.

La coppia che si candida per una adozione è solitamente concentrata nelle difficoltà logistiche tanto da mettere in secondo piano le difficoltà che possono nascere in loro nel momento in cui arriverà il bambino. Non basta infatti desiderare un bambino. Questa motivazione non è sufficiente di per sé per avere nella propria casa un bambino. La motivazione non può ridursi ad una dichiarazione, ma si deve riferire ad un percorso interiore che da un lato è mosso dal desiderio e dall'utopia e dall'altro deve fondare sull'oggettività di una scavo interiore ben più profondo di quello che deve affrontare la famiglia affidataria. L'adozione è per sempre, e questo non lo si deve dimenticare.

Nell'adozione non esiste un periodo di prova sufficientemente lungo da permettere una valutazione profonda di se stessi e del bambino. Il fatto di essere seguiti da un sostegno psicosociale per un anno dopo l'adozione non è di per sé sufficiente in quanto in quell'anno si manifestano solitamente solo le cose migliori per entrambe le parti; sarebbe come valutare l'esito di un matrimonio dopo il primo anno che altro non è che un prolungamento della luna di miele. Nemmeno è pensabile che il bambino possa entrare in una casa in prova e dopo un anno restituito perché non adatto! L'adozione è una strada senza ritorno che esige una coppia ad alta resilienza, fortemente motivata nell'adattarsi alla realtà del bambino, qualsiasi essa sia, e per sempre.

A fronte di queste difficoltà, non insormontabili, ma reali, assistiamo ad un iter che è lungo, ma solitamente poco approfondito sul piano dell'interiorità, ad una idoneità che somiglia ad alcune certificazioni che finiscono con essere, o essere vissute, come una gabella burocratica che si deve fare senza capirne profondamente il significato. Da parte delle famiglie adottande si assiste ad un fastidio nel dover essere valutati e quindi ad un insito disvalore delle valutazioni operate dal servizio sociale. Da parte dei servizi si assiste ad un processo di valutazione obbligatorio senza la possibilità di incidere in modo profondo sulla formazione e sulle caratteristiche della coppia che lascia sempre profondi dubbi di indagine incompiuta e di atto dovuto più che di vera valutazione di idoneità.

Un doppio processo vissuto solitamente da entrambe le parti con rassegnazione (anche se non mancano esempi di analisi e atteggiamenti di compiutezza costruttiva da entrambi i lati). Si noti, inoltre, che nell'adozione l'intervento dei servizi sociali può essere decisivo solo prima dell'adozione, mentre ad adozione avvenuta hanno un anno di sostanziale tutorato con l'ingrato compito di fare una valutazione preveggente di una normalità pur essendo la famiglia in una stato di grazia dal quale difficilmente emergono i punti nodali, le difficoltà.

Gli operatori devono essere capaci di individuale le disarmonie e le difficoltà e le rigidità molto prima che siano evidenti sintomi chiari23; compiuta l'adozione e l'anno di controllo la famiglia adottiva può chiudere qualsiasi canale alla introspezione e vivere come se fosse una qualsiasi famiglia “normale”, mentre non lo è affatto.

E' noto che le problematicità aumentano con l'età e con la tipologia di origine adottiva, nazionale o internazionale. Si sottolinea la differente cronologia delle fasi evolutive del bambino/ragazzo che assumono carattere di maggiore incidenza nelle adozioni rispetto a quelle presenti in un figlio biologico. La successione delle fasi è la seguente: l'età del ricordo (3-5 anni); l'età dell'assimilazione (5-8 anni); l'età dell'identità (8-11 anni); l'età dell'affermazione (12-18 anni). Ogni fase ha un peso differente, se si confronta la tipologia dell'adozione con la situazione di un figlio biologico. È un gioco ad incastro fortemente determinato dalla resilienza del bambino e della famiglia adottiva. Se sapranno porre a valore le differenze queste esalteranno la positività, se le subiranno esalteranno la negatività.

Si può comprendere che un bambino che viene adottato entro i 5 anni ha la possibilità di passare tutte le fasi evolutive con la famiglia adottiva, mentre uno che entra in adozione a 12 anni può usufruire di un periodo formativo nuovo solo nella fase finale dell'affermazione. Questo non significa che i bambini da adottare devono per forza essere piccoli, ma semplicemente che la famiglia adottiva deve usare strumenti differenti con un ragazzino più grandicello e curare quelle situazioni formative che precedentemente eventualmente non erano state raggiunte in modo adeguato. Oltre i 14 anni (ma anche già da verso gli 11 anni) è necessario avere precauzioni particolari nell'adozione e compiere un periodo di adattamento più complesso che assomiglia a quello dell'affido familiare.

Concentriamoci ora sui casi più frequenti e prendiamo in considerazione dapprima i bambini che vanno da 0 a 3 anni. In questi casi il “trapianto” adottivo è più agevole e addirittura auspicabile per il benessere formativo del bambino.

Potremo dire che in questi casi le problematicità sono tutte concentrate sulla famiglia adottiva e sulle sue capacità di reagire al cambiamento di stato familiare che il bambino adottato determina. Queste famiglie solitamente vivono un periodo assai felice provvedendo ad una formazione e ad una educazione psicosociale ed affettiva del bambino in modo ottimale. Solo nel momento in cui arriverà l'età dell'identità e quindi il naturale desiderio di conoscere chi si è e da dove si viene. La coppia adottiva deve prevedere questo evento e deve prepararlo per tempo in modo da poter rispondere alle esigenze del bambino in relazione ai suoi bisogni di identità. In questa fase l'aver svolto un percorso all'interno di gruppi di famiglie adottive la aiuterà nella soluzione di questa problematicità.

Un altro momento critico si avrà quando arriverà l'età dell'affermazione di se stessi in modo compiuto (14-18 anni). A questa età il desiderio di conoscere le proprie radici e quindi i propri genitori si farà più forte, la famiglia adottiva non si dovrà spaventare, ma dovrà assecondare questo desiderio essendo parte integrante del formare l'identità adulta da parte del ragazzo. Esistono molti esempi di questo cammino anche molto bene espressi in alcune opere non solo psicosociali, ma anche letterarie24.

Sappiamo che per i bambini nati e adottati in Italia, le difficoltà relative alla costruzione della propria identità riguardano prevalentemente la relazione tra famiglia naturale e famiglia adottiva, mentre per l'adozione internazionale si inseriscono situazioni meno chiare e meno ricostruibili in quanto i bambini più grandicelli avranno sicuramente interiorizzato la propria cultura e l'identità etnica. A questa si aggiunge anche un'immagine della realtà del paese che li accoglie molto falsata dai mezzi di informazione (prevalentemente televisione o racconti che sono stati fatti loro).

Non sempre riflettiamo a sufficienza sul lavoro mentale che questi bambini devono compiere da un lato con una situazione che non li soddisfa, ma che è l'unica che conoscono, dall'altro con una situazione mitizzata di avere cose che nel orfanotrofio non hanno. Bisogna considerare con grande rispetto il loro vissuto e la loro necessità dell'investimento narcisistico che il bambino fa verso gli adulti di riferimento. Tradire questo processo determina danni cospicui non facilmente rimediabili successivamente. Il loro è comunque un percorso di abbandono: abbandonati dai genitori biologici (anche se incolpevolmente); abbandonati dai parenti, abbandonati dal collegio in cui sono cresciuti (che in un qualche modo li consegna ad una realtà familiare che non conoscono). Che fiducia possono avere da parte di persone che nemmeno conoscono? Certamente tutto l'apparato delle illusioni che il mondo industrializzato e socialmente evoluto che l'Italia rappresenta è un forte incentivo che spesso si dovrà confrontare con una reale perdita di valori che altrove sono più percettibili. Sarà in quel tempo che i conflitti tra bambino e famiglia adottiva si renderanno evidenti e questo tempo non è preventivabile prima.

Un aspetto da considerare è anche l'immagine che la coppia adottiva ha del paese di origine, spesso stereotipata e spesso negativa per il solo fatto che non sa assicurare ai propri bambini un futuro certo. Le ripercussioni emotive sul bambino giunto in Italia sono innegabili, dagli atteggiamenti dei genitori adottivi stessi sino alla famiglia allargata, agli amici, alle persone con le quali viene in contatto. L'uso stesso dei suoi ricordi è spesso vissuto con poco rispetto. Inoltre si fa, anche inconsciamente avanti il tentativo di "appropriarsi del bambino" allontanando ed escludendo la loro educazione e cultura primigenia quasi fosse sempre e comunque un disvalore da dimenticare quasi a significare che solo attraverso gli adottivi lui potrà essere considerato come persona. Tutto questo azzeramento, voluto o non voluto, determinerà nel bambino un'ansia supplementare, quando non costituirà la “sindrome del quasi adatto”, finendo con esaltare la non integrazione tra passato e presente. Possiamo immaginare quanto tutto questo significa per la fragile autostima del bambino, per la sua insicurezza e angoscia di perdita di ciò che fino a quel momento faceva parte del suo mondo.

Il processo di riparazione al trapianto adottivo potrà avvenire quando i genitori adottivi riusciranno a percepire le difficoltà del bambino, a contenerlo e proteggerlo. Quando, invece, loro stessi divengono insofferenti ai cambiamenti in atto si determina una situazione di fragilità che spesso li porta a considerare solo loro stessi e le dinamiche familiari già note del periodo preadottivo, quasi non fosse accaduto nulla nella loro vita (il padre continua con le sue attività, la partita, il cane, gli amici, ecc.; la madre le amiche, lo shopping, la palestra, il ménage del tutto pulito ed ordinato), allora le cose si complicano. In questi casi il sostegno delle famiglie adottive può fare molto per non essere soli ed avere risorse supplementari nel fronteggiare le situazioni.

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La GEA Società Cooperativa Sociale è una Cooperativa Sociale di tipo “A” (L.381/91), finalizzata alla gestione dei Servizi Socio – Sanitari ed Educativi.
Nasce a Bari–Palese nel giugno 1984 e nei diversi anni di attività ha sviluppato nell’ambito dei territori d’intervento, una rete socio–assistenziale ed educativa territoriale, sia con ...
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