3. Operatori psicosociali
Assistente sociale
Chi è? E’ un professionista che ha conseguito un Diploma Universitario in Servizio sociale attraverso un corso universitario di durata triennale (ai sensi del Decreto del 23/07/1993) o la Laurea attraverso ulteriori due anni di Dottorato di Ricerca e l’abilitazione all’esercizio della professione (legge N° 84 del 1993 di istituzione dell’Albo degli Assistenti Sociali). L’iscrizione all’Albo è requisito necessario per incarichi all’interno della Pubblica Amministrazione. Dal 1982 fino al 1993 gli operatori hanno conseguito il titolo di studio attraverso corsi triennali delle Scuole Dirette a Fini speciali istituite in ambito universitario. In precedenza i corsi di formazione, sempre di durata triennale e destinati a chi avesse conseguito la maturità, erano stati gestiti da enti pubblici o privati. L’evoluzione della professione è strettamente legata all’evolversi degli eventi storici, delle politiche sociali e delle teorie psicologiche e sociologiche. Alcuni caratteri essenziali ne hanno però accompagnato e delineato l’identità: “è una professione che si esprime e si motiva in quanto interpellata da soggetti alla ricerca di soluzioni per la propria realizzazione”; “è una professione polivalente” a cui ci si rivolge in presenza di un disagio non preventivamente decodificato o non di competenza di una branca specialistica individuabile e che si avvale di strumenti di intervento derivati da supporti teorici specifici e/o mutuati da varie altre discipline; “è una professione sociale” in quanto pur personalizzando la relazione di aiuto, la contestualizza in un ambito sociale più vasto.
Come opera? L’Assistente Sociale acquisisce elementi di conoscenza delle condizioni di vita delle persone che ne chiedono l’aiuto e dei loro nuclei di appartenenza per potere predisporre un progetto di intervento che consiste sia nell’elargizione di aiuti diretti, sia nell’attivazione di presidi esistenti sul territorio, di reti di solidarietà e di altri servizi. Coinvolge la persona nella condivisione del progetto e nella sua realizzazione per superare o ridurre la condizione di disagio. L’Assistente Sociale attiva, quando ne valuta la necessità, altri professionisti per offrire una prestazione integrata e pertanto più comprensiva della pluralità dei bisogni. “L’Assistente Sociale deve salvaguardare gli interessi ed i diritti degli utenti e dei clienti, in particolare di coloro che sono legalmente incapaci e deve adoperarsi per contrastare e segnalare situazioni di violenza o di sfruttamento nei confronti di minori, di adulti in situazioni di impedimento fisico e/o psicologico, anche quando le persone appaiano consenzienti” art. 14 Codice deontologico dell’Assistente Sociale.
Predispone interventi di aiuto e sostegno alla sua famiglia d’origine per metterla in condizione di svolgere le proprie funzioni genitoriali
Valuta quali siano i rischi o il danno per il minore quando la famiglia d’origine dimostri di non adempiere alle proprie funzioni e ai propri doveri di protezione, accudimento, mantenimento, educazione, istruzione.
Propone e predispone forme di integrazione delle funzioni genitoriali quando queste siano insufficienti rispetto ai bisogni del minore.
Propone e predispone forme di sostituzione temporanea delle funzioni della famiglia d’origine quando questa non sia in grado di rispondere a bisogni importanti e fondamentali per la crescita ed il benessere fisico e psichico del minore.
Come interviene nell’ambito dell’affidamento familiare?
Conosce e fornisce alla famiglia affidataria notizie relative al bambino e alla sua famiglia d’origine, delineando i bisogni del bambino, gli obiettivi del progetto di collocazione in affido e il tipo di intervento che verrà messo in atto a sostegno della famiglia d’origine, aggiornando gli affidatari rispetto alle evoluzioni rilevate e concordando eventuali necessità di modifiche al progetto.
Predispone la regolamentazione degli incontri fra il minore e la famiglia d’origine e individua luoghi e modalità di realizzazione degli stessi.
Predispone le provvidenze economiche a favore della famiglia affidataria e chiede la concessione delle eventuali agevolazioni previste per la frequenza scolastica e l’accesso ai servizi da parte dei minori in affido.
Verifica attraverso incontri periodici con gli affidatari l’evoluzione dell’affido in relazione allo stato di benessere del minore, ai suoi rapporti con la famiglia affidataria e con la famiglia d’origine, offrendo il sostegno utile alla riuscita del progetto e all’interesse del minore.
Criticità nella prassi. Quanto descritto definisce quelle che sono le linee guida dell’operato delle Assistenti Sociali che è necessariamente condizionato da elementi che possono costituire forme migliorative o peggiorative dell’intervento quali: la politica sociale dei singoli territori in merito alla scelta delle priorità, le risorse di personale ed economiche di cui dispongono i singoli comuni in rapporto all’utenza, le caratteristiche geografiche e organizzative dei singoli servizi sociali, la presenza o meno di professionisti della stessa e/o diversa formazione con cui avere forme istituzionalizzate di collaborazione, confronto e supervisione. Ancora oggi si verificano frequentemente le condizioni di lavoro stigmatizzate da Cirillo già nel 1987. Nell’attività corrente il sistema di gestione locale è ancora improntato alla mera assistenza. Di fronte ad una domanda assistenziale (di contributo economico, di colonia, invernale, di assistenza nelle pratiche per l’alloggio, ecc.), l’assistente sociale è costretta a svolgere un pur necessario lavoro di sportello che finisce col ridursi ad una semplice elargizione di sussidi senza alcun progetto socialmente finalizzato; si trova spesso a dover rispondere del proprio lavoro a dirigenti (a politici o a assessori) molto più attenti a questioni di bilancio o di immagine pubblica che alla costruzione di un operato finalizzato di cui si vedranno i benefici solo dopo molti anni. Esercita spesso la sua funzione in assoluto isolamento, talora in tali condizioni di sovraccarico di lavoro che non riesce ad effettuare una raccolta organica delle informazioni sul minore e sulla famiglia naturale, a collegare queste ultime in un’ipotesi significativa, a progettare una presa in carico globale del minore e della sua famiglia. Poiché il settore sociale è tra i primi ad essere decurtato un presenza di ristrettezze finanziarie, anche gli operatori sociali sono colpiti da riduzione di organico e da una debole considerazione di valore professionale. A causa di questo stato di cose l’assistente sociale si trova a dover mettere in atto interventi d’urgenza, che tamponano provvisoriamente una situazione, ma rischiano di cronicizzare la difficoltà e di mantenere la famiglia in crisi indefinitamente nel circuito dell’assistenza. Come cita Cirillo, paradossalmente molto spesso i bambini che l’assistente sociale colloca in affido sono i figli degli utenti a cui ha elargito un contributo economico qualche anno prima ………
Cerchiamo di fare chiarezza: che differenza c’è tra psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista?
Lo psicologo è un professionista che, dopo la Laurea in Psicologia, ha superato l’esame di Stato e si è iscritto all’Albo Professionale della sua Regione, per poter esercitare la professione. Se non ha l’iscrizione all’Albo, è come un laureato in altra disciplina, ad esempio in Legge, che può insegnare o fare altro, ma non è avvocato. Lo psicologo può fare diagnosi, valutazioni, interventi di prevenzione, ma non “cura”. Non utilizza farmaci come metodologia di lavoro.
Lo psicoterapeuta è un professionista che ha proseguito il percorso di formazione, di cui l’Ordine ha riconosciuto la validità iscrivendolo all’Elenco degli psicoterapeuti. E’ colui che “cura”, che lavora per eliminare il sintomo, la patologia, il disagio e aiutare la persona a tornare ad una condizione di benessere, magari migliore di quello precedente. Non utilizza farmaci per lavorare con le persone, benché possa prevedere la combinazione di psicoterapia e psicofarmacologia. Con la normativa attuale, può essersi specializzato dopo una Laurea in Psicologia o Medicina.
Lo psicoanalista è un professionista che ha seguito una formazione analitica, freudiana o post freudiana (classicamente lavora col lettino); l’esplorazione dell’inconscio viene finalizzata ad un migliore adattamento al presente e ad una migliore conoscenza di sé. Vi sono poi altre professioni, come quella del sociologo, del pedagogista e del filosofo, che non hanno obiettivi di cura, in quest’area, ma piuttosto di consulenza.
Come si diventa psicologi? La professione è regolamentata e disciplinata dall’Ordine degli psicologi e dall’Albo degli psicoterapeuti. Dopo l’università occorre un anno di tirocinio presso una struttura pubblica (Asl) o privata o universitaria. Al termine del tirocinio si può dare l’esame d’ingresso nell’Ordine, poi occorrono quattro anni di specializzazione e, infine, l’ingresso nell’Albo.
Come può una persona che non ci conosce aiutarci a conoscerci meglio? La regola generale dice che lo psicologo può conoscere solo nella misura in cui la persona si rende disponibile e desidera farsi conoscere, raccontando esperienze di vita, proprie riflessioni, blocchi, vissuti, domande, aspettative. Ma perché poi parlare con uno psicologo sarebbe più efficace che parlare con un’altra famiglia amica? Sicuramente si tratta di relazioni differenti: lo psicologo usa tecniche e modi che non si utilizzano tra amici, aiuta a trovare parole e significati, condivide ed empatizza con la persona su aspetti che sono molto intimi, privati e profondi; gli amici sono dei compagni di avventure, di esperienze nuove, simpatizzano nelle situazioni come non succede in terapia. Lo psicologo, quindi, può aiutare la famiglia a conoscersi meglio solo attraverso un rapporto di collaborazione.
Valutazione degli interventi di accoglienza. Compiere una valutazione degli esiti delle accoglienze dei minori e delle accoglienze familiari in generale è oltremodo difficile, tanto da essere definita una verifica incerta. La difficoltà è anzitutto metodologica, volendo dare rigore scientifico all’analisi valutativa. Il problema si presenta classicamente come un caso in cui solo attraverso una analisi multifattoriale si riesce a determinare una espressione che abbia un qualche rigore di significatività, quindi solo attraverso una analisi di numeri elevati e significativi sul piano statistico. Infatti, i parametri da considerare sono molto numerosi e tra loro soggetti a grande variabilità. Sul piano della metodologia scientifica queste situazioni vengono risolte aumentando il numero dei dati raccolti sino a che l’analisi statistica non rende significativo il risultato, oppure ricorrendo ad una metodologia a posteriori come la meta-analisi.
In Italia, ancora oggi, non è possibile alcuna vera valutazione esaustiva delle diverse forme di accoglienza poiché il numero dei dati da analizzare che seguono criteri rigorosi e statisticamente significativi è in molti casi assai limitato. Se si inseriscono nella valutazione anche altre variabili, la significatività scientifica si allontana ancora di più dalla valutazione pertinente. Sono fattori di variabilità: la soggettività degli attori coinvolti, il turn over degli operatori (un bambino a causa delle esigenze di servizio difficilmente riesce ad avere una stabilità nell’operatore: è costretto a subire spesso cambiamenti per lui non facilmente comprensibili), la mutabilità temporale, le condizioni variabili di conteso, le disposizioni di gestione socio-economico delle accoglienze (ovvero la valutazione sul costo socioeconomico degli interventi, considerazioni ineccepibili sul piano gestionale ma che difficilmente possono essere comprese dall’assistito che le percepisce come uno scarico di interesse), ecc. Si potrebbe concludere che una vera valutazione è impossibile, tuttavia non è del tutto vero. Infatti, pur non conoscendo la realtà finale nei suoi dettagli scientifici e metodologici, possiamo compiere interessanti rilevazioni di orientamento che ci permettono di fare considerazioni predittive, di orientamento appunto, senza entrare troppo nella espressione di sicura certezza scientifica.
Nelle relazioni tra operatori e famiglie e nelle relazioni tra operatori e manager di struttura esistono le stesse derive che sono presenti in qualsiasi organizzazione aziendale. Per chiarire questo punto si prende ad esempio esattamente un consolidato di esperienza di psicologia del lavoro sulle informazioni e la loro gestione. Nel caso dell'accoglienza le informazioni hanno un doppio flusso tra famiglie e operatori. Le informazioni primarie nascono dalla famiglia accogliente. L'operatore le assume e le trasforma sul piano professionale in risposte informative adeguate verso la famiglia. L'operatore a sual volta è portatore di informazioni verso il manager della propria struttura il quale una volta assunte le elabora e le traduce in informazioni di servizio che trasmette agli operatori. Questa catena relazionale, come si è detto, è ben nota e qui, proprio per sottolinearne la generalità viene proposta in due immagini che possono essere doppiamente sostituendo di volta in volta il "lavoratore" ora con la famiglia nella relazione con l'operatore (questa volta manager) e dell'operatore (questa volta "lavoratore") verso il manager.
Accoglienza. Valutare gli esiti dell’accoglienza sul piano sociologico è possibile solo se si considera un livello di astrazione molto elevato inserendo variabili sociologiche di grande rilevanza selettiva soprattutto poiché l’accoglienza familiare si esprime in forme molto diverse, dall’accoglienza di una mamma con bambino all’accoglienza di un disabile, di un anziano, ecc. Per ora si hanno dati solo per comunità di accoglienza e per problemi sociali e comportamentali assai rilevanti (tossicomanie, prostituzione, homeless ecc.).
Adozioni. Si hanno situazioni meno variabili rispetto alla precedente essendo una forma di accoglienza assai antica e storicamente valutabile in termini numerici (ancorché gli adottati socialmente considerati figli di un dio minore). I dati sulle adozioni sono storicamente meglio rilevabili, ma sul piano dello studio sono concentrati sugli insuccessi, mentre i successi cadono in un limbo metodologico a causa della privacy. Si deve ricordare che nell’adozione di minori piccoli dopo una fase di adattamento le dinamiche sono simili a quelle dell’allevamento dei figli biologici. Diversa è la situazione di adozione di minori con un vissuto formativo extra-familiare importante, dove le dinamiche per alcune impostazioni metodologiche sono simili a quelle che si attuano nell’affido a lungo termine. Inoltre, si ricorda che nell’adozione l’intervento dei servizi è istituzionalmente assai limitato, spesso non gradito, e considerato come una fase iniziale da superare (così non si usufruisce di esperienze di rete e di competenze specifiche).
Affido. Da un lato è la situazione più complessa, ma dall’altro è la situazione su cui è possibile tentare maggiori esplorazioni di senso, se non di significatività. Per questo dedicheremo a questo argomento più attenzioni, consapevoli che alcune considerazioni sono perfettamente trasportabili nell’esercizio dell’accoglienza (sia di minori che di adulti) o a casi di adozione (specie quelli di adozione di minori dall’età scolare in poi, ovvero che hanno comunque già acquisito un vissuto formativo importante).
Per tentare di valutare l’efficacia dell’affido familiare bisogna tenere conto di diverse variabili in ordine di priorità: a) funzionamento del sistema dei servizi; b) effetti permanenti sul bambino; c) effetti permanenti sulla famiglia di origine; d) funzionamento della famiglia affidataria. Come si può vedere nell’ordine, preminente è il servizio e sussidiaria è la famiglia affidataria perché se il servizio determina un buon abbinamento basato sull’oggettività, già la metà degli elementi predittivi sono raggiunti. Il secondo livello è costituito dagli effetti permanenti sul bambino. Questo aspetto è fondamentale e deve essere monitorato a più fasi e con più ruoli congiuntamente tra servizio e famiglia affidataria. Qui l’intesa è fondamentale senza tuttavia determinare confusione di ruoli. Esiste poi un problema metodologico di baseline: non si possono valutare i progressi dei bambini affidati sulla base della media dei bambini biologici, poiché essi partono da una condizione di svantaggio sul piano dello sviluppo e dell’adattamento e quindi non sono confrontabili. Se nella valutazione non si considerano queste evidenze di partenza si finisce con avere operatori e famiglie affidatarie scoraggiate con un senso di inutilità del loro impegno.
Valutazione degli obiettivi intermedi negli affidi. La formulazione di obiettivi intermedi è di grande importanza come anche la verifica del loro raggiungimento e delle ragioni del mancato raggiungimento. Non fare questo lavoro significa improvvisare, improvvisare significa affidarsi alla sorte che a volte è benigna, ma spesso è maligna. In questo campo sono significativi i lavori di Martin (2000) che propone una serie di indicatori utili nella valutazione degli obiettivi intermedi che facciamo nostri quali: stabilità del contesto, clima emotivo, sviluppo e recupero dei ritardi, recupero del parenting (percorso da far svolgere alla famiglia di origine, assai poco praticato nella realtà italiana).
Valutazione degli obiettivi a lungo termine dell’affidamento familiare. I dati significativi di restituzione sono davvero ancora pochi e si focalizzano prevalentemente sui seguenti indicatori: il poter disporre, da parte del bambino, di un contesto di cure stabili entro un periodo ragionevole di tempo; l’impatto positivo dell’esperienza di affido sul funzionamento dell’individuo a lungo termine; l’impatto positivo dell’affido sulle modalità di funzionamento a lungo termine della famiglia di origine. Nell’insieme questi indicatori portano a valutare se il bambino ha potuto disporre di cure adeguate per il raggiungimento della sua autonomia da adulto.
La GEA Società Cooperativa Sociale è una Cooperativa Sociale di tipo “A” (L.381/91), finalizzata alla gestione dei Servizi Socio – Sanitari ed Educativi.
Nasce a Bari–Palese nel giugno 1984 e nei diversi anni di attività ha sviluppato nell’ambito dei territori d’intervento, una rete socio–assistenziale ed educativa territoriale, sia con ...
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