Approfondimento

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Le dinamiche dell'Affido - 4. Affido etero-familiare: dare

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4. Affido etero-familiare: dare

Nell’accoglienza di minori e di adulti, come anche nell’affido e nell’adozione, è necessario porsi consciamente delle mete. Accogliere un minore o un adulto significa anche porsi una responsabilità formativa e accettare di essere al contempo formati. Accade il medesimo processo con i figli naturali: essi sono formati nella famiglia e la famiglia è da loro formata. La differenza sta nel fatto che nella famiglia naturale i fatti hanno un impatto “naturale” e stemperato dalla normalità degli avvenimenti, dal succedersi degli eventi entrati nella costituzione sociale e culturale della piccola comunità chiamata famiglia (che ha un suo passato e un suo vissuto condiviso). Nel caso dell’accoglienza, in tutte le sue forme, l’impatto empatico è molto forte e meno “normale”. Il passato ed il vissuto dell’accolto deve essere condiviso e il passato e il vissuto della famiglia deve entrare a far parte del bagaglio dell’accolto. Un passaggio delicato formato sul fronte interno familiare da legami deboli che nel loro insieme formeranno la base dell’accoglienza reciproca. Sul fronte esterno invece la famiglia e l’accolto sono per realtà sociale controcorrente rispetto alle altre famiglie. Questa evidenza può porre la famiglia accogliente in maggiore evidenza gratificativa, alimentando la sua autostima, ma al contempo contiene il germe del narcisismo e dell’ambiguità nascosta nell’altruismo. Nell’accolto rimane sempre il problema delle proprie radici e della continua necessità di rivisitare il suo passato per rimodellarlo per se stesso e per i legami affettivi, formativi e culturali che ha acquisito.

Nota di commento. Vi è necessità di porsi mete formative che istruiscano il nostro agire giorno per giorno: devono essere generali, tanto generali da essere essenziali. La domanda nel dare è la seguente: cosa vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli?

1. La capacità di essere autonomi

Non per disponibilità economica, perché quella semmai viene dopo, ma la capacità di fare scelte secondo la propria natura, secondo le proprie capacità e le proprie disabilità. Questo tema può ovviamente essere molto dilatato; mi limiterò ad una sola riflessione sul dare. I nostri figli devono essere capaci di decidere autonomamente (che non è…. ora faccio quello che voglio..). Come ha chiaramente espresso Tuggia (2008) decidere significa, primariamente, “uscire da noi stessi”: la decisione si alimenta da un bisogno, da una mancanza… forse per questo oggi non si decide volentieri, in una società in cui l’eccesso di opportunità paralizza perfino il sogno. Per una riflessione più strettamente educativa sottolineo alcuni elementi: il sé: ci si deve conoscere per decidere o, quantomeno, la decisione ti spinge drammaticamente a farlo.

Ogni scelta compone o ricompone la nostra biografia:

  • continuità e discontinuità, coerenza e tradimenti sono passaggi necessari di ogni vita;
  • la traiettoria: è la direzione della scelta, è la valutazione della direzione, la quantità delle nostre forze. Individuare una traiettoria significa anche fare i conti con i vincoli, gli attriti, le resistenze;
  • la progettazione: è la capacità di pensare e attuare un piano d’azione, facendosi carico della capacità di convivere con l’ambiguità e la complessità che abitano il nostro mondo, superando l’orizzonte spesso angusto dell’utilità soggettivamente attesa, di uno sguardo senza prospettiva. Educare alla decisione presuppone oggi una percezione sofisticata delle sfumature, la consapevolezza della molteplicità delle prospettive, l’umiltà di muovere un passo senza la pretesa della definitività.


2. La capacità di perseguire la qualità

Educare alla qualità è molto difficile perché si basa non sulle parole ma sull’esempio e sulla coerenza delle persone significative per l’accolto. Non sono i sermoni che radicano la rettitudine, ma l’esempio e la coerenza nel vivere quotidiano. Oggi è anche difficile parlare di rettitudine. Questa è una parola obsoleta non solo perché richiama l’osservanza di precetti familiari che non esistono più ma semplicemente perché oggi la rettitudine non si esprime con concetti apodittici determinati da un norma ma da pensieri a rete che si intersecano e rendono multifattoriale non solo l’analisi, ma anche le conclusioni (basti pensare al conflitto tra etica politica e sobrietà personale, tra amore e sessualità, tra editti pro-famiglia di alcuni politici e distruzione della propria in uno sfilacciamento di perdonismo maschilista, anche nella senilità). Le contraddizioni del nostro vivere mettono a dura prova questa meta formativa anche nello specchio magico della famiglia, soprattutto perché la nostra società oscilla nel mettere a valore i fatti, le opinioni, le convinzioni con molta elasticità opportunistica che difficilmente possono essere comprese da un bambino, ma anche da un adulto di altra cultura. Lo stesso impianto multiculturale determina non più “verità” dogmatiche, ma necessità di fare scelte personali, di chiarire distinguo (oggi si dice di declinarle….), che di volta in volta hanno semi di opportunità o di qualità molto variabili. Per questo oggi essere genitori è difficile, più difficile che in passato quando il compito primario dei genitori era la sussistenza familiare (si, lo so, ora non si muore di fame e allora si.., ma ora si muore dentro e allora forse meno).

Aspetti specifici.

Le famiglie affìdatarie rappresentano per la collettività una vera e propria risorsa, in molti casi l’unica risposta possibile a situazioni di criticità di minori e di famiglie: esse possono essere considerate una soluzione idonea, flessibile e affettiva. La famiglia affidataria, infatti, fornisce un ambiente sicuro per un bambino che non può vivere temporaneamente nella propria famiglia per problemi dei genitori. Accogliere un bambino «come figlio» all’interno della propria famiglia rappresenta la sfida principale cui cerca di rispondere l’affido familiare. L’affidamento familiare presenta, infatti, aspetti peculiari, che pongono i figli in affido «al confine» tra due appartenenze familiari e la funzione dei genitori «al confine» tra genitorialità e generatività sociale. In senso positivo, la famiglia affidataria deve, per difficile che sia, accettare la famiglia d’origine così com’è, senza giudicarla o pretendere di “redimerla” o cambiarla (meglio se avviene anche con il contributo della famiglia affidataria, ma non rientra negli obiettivi fondamentali dell’affidamento), deve accettare e rispettare l’accolto con il suo passato ed i suoi limiti; onorare, rispettare e salvare sempre le figure materna e paterna che lo hanno generato; accettare, anzi permettere e favorire, le regressioni che si verificano obbligatoriamente nelle fasi di recupero; saper creare l’ambiente affettivo terapeutico commisurato alle esigenze dell’accolto con la pazienza adeguata ai tempi necessari.

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La GEA Società Cooperativa Sociale è una Cooperativa Sociale di tipo “A” (L.381/91), finalizzata alla gestione dei Servizi Socio – Sanitari ed Educativi.
Nasce a Bari–Palese nel giugno 1984 e nei diversi anni di attività ha sviluppato nell’ambito dei territori d’intervento, una rete socio–assistenziale ed educativa territoriale, sia con ...
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