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Le dinamiche dell'Affido - 2. Affido etero-familiare: capire

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2. Affido etero-familiare: capire

Aspetti generali. Per capire l’affido dobbiamo capire la sua differenza nella pratica con l’accoglienza e con l’adozione. Adozione ed affido sono due processi di solidarietà e di tutela verso i minori che hanno un ruolo sociale importante, ma diverso e non sovrapponibile. Per fare una analisi di confronto si deve partire dalla legge, ma anche dalla prassi e dalle derive comportamentali che mezzi di informazione, opinione diffusa e operatori talora compiono. La legge è molto chiara nel definire l’adozione e l’affido: nel primo caso il minore diverrà di fatto figlio della coppia adottiva a tutti gli effetti, nel secondo caso si chiede un intervento temporaneo di tutela con un lavoro per favorire il rientro dal minore nella famiglia naturale.

Queste definizioni lapidarie cozzano però contro una pratica e una realtà di situazioni:

  • grande numero di famiglie che chiedono l’adozione di minori in tenera età
  • grande numero di minori problematici (adolescenti, portatori di disabilità, di etnie differenti, ecc.) in condizione di adozione che non trovano famiglia adottiva;
  • piccolo numero di famiglie affidatarie disponibili rispetto ai casi da risolvere.


Questo stato di cose determina situazioni di deriva comportamentale professionale/umana e per difficoltà oggettive nel provvedere alla tutela:

  • elevato numero di minori di età pre-adolescenziale e adolescenziale in strutture protette con necessità di ricorrere a “sine die”(ovvero affido di cui non si prevede a priori un ritorno nella famiglia naturale);
  • elevato numero di casi di insuccesso dell’adozione e ritorno del minore nel comparto dell’affido per garantirne la tutela;
  • elevato numero di coppie senza figli che si rivolge all’affido dopo aver sperimentato con insuccesso la via della adozione;
  • operatori che, visto lo scarso numero di minori disponibili per l’adozione, invitano impropriamente le coppie a convergere verso l’affido.


La legge è chiara: compito primario degli operatori è la tutela del minore. Il programma di tutela comincia con un approfondito esame della coppia che dovrà tenere il minore presso di sé per sempre o per un periodo determinato.

I parametri di selezione ai quali l’operatore deve fare riferimento sono gli stessi sia per la coppia adottiva sia per quella affidataria:

L’affettività e la maturità affettiva, la risonanza emozionale dell’individuo, la capacità di tenerezza, di comunicazione e di contatto.
La capacità dell’individuo di interagire con il mondo esterno.
La facilità ai rapporti a qualsiasi livello di età.
L’atteggiamento positivo verso le cose nuove e la duttilità.
L’autonomia intesa come raggiungimento della maturità sia nelle capacità decisionali, sia nell’assunzione di responsabilità, ma soprattutto nella indipendenza personale basata sull’autostima, che permette di difendere le proprie scelte.

Sia per l’adozione che per l’affidamento, l’operatore deve approfondire le motivazioni alle due scelte differenti sul piano sostanziale e gestionale. Infatti, se molte possono sembrare le analogie, in realtà sono profonde le differenze. Mentre i genitori adottivi desiderano innanzitutto un figlio “proprio”, gli affidatari si offrono per avere temporaneamente cura di un bambino. Il fine dell’affidamento non è quello di avere un bambino “proprio”, ma quello di ricondurlo al suo nucleo originario, dopo aver rafforzato e stimolato la sua personalità con un “rafforzamento dell’io” e avergli dato l’apporto di identificazioni genitoriali positive o aver ottenuto un effetto terapeutico.

Per poter ben operare gli affidatari debbono possedere una istintiva fiducia nelle potenzialità e nelle capacità di cambiamento di un bambino che ha sofferto, e saper creare con lui un rapporto valido, ma non esclusivo (come invece si verifica con le adozioni). In questo senso sono senz’altro da preferire per l’affidamento le famiglie con i figli propri a patto che la decisione sia condivisa da tutti i componenti del nucleo familiare. Ai genitori affidatari si chiede di fare semplicemente da papà e da mamma temporanei, ma anche di avere una maturità sociale e una disponibilità differente rispetto a quella che si riscontra nelle adozioni, nelle quali si lavora sul senso innato di avere un figlio “proprio”.

Continuando nelle analisi delle differenze, se da una parte la coppia adottiva deve sempre tenere presente che il figlio adottivo porterà con sé tracce del trauma dell’abbandono, avremo per il bambino affidato quello dell’angoscia legata alla separazione, che non è mai definitiva e che si ripropone continuamente. In ambedue le forme di genitorialità non naturale, i nuclei familiari debbono essere capaci di accettare il “passato” del bambino, precedente al suo inserimento in famiglia, e debbono essere capaci di rispettare la sua “storia”, ma anche qui la differenza è enorme perché mentre il “passato” dell’adottato è un evento concluso, il “passato” di un bambino in affido rappresenta, in un qualche modo, anche il suo futuro.

Agli affidatari, come agli adottivi di minori grandicelli, si chiede di essere così equilibrati da saper sopportare meccanismi regressivi, di rifiuto, di provocazione o di adattamento passivo del bambino stesso. Agli affidatari si chiede anche di sopportare la contemporanea aggressività della famiglia di origine e che sia consapevole del suo ruolo equilibratore, in modo da consentire al bambino che ha accolto, la possibilità di continuare ad accettare ugualmente le due famiglie, le due madri, i due padri, senza sentirsi costretto a rifiutare una delle due per scegliere l’altra.

Negli affidi e nelle adozioni, le maggiori difficoltà sono legate alla previsione di quel che accadrà con l’ingresso del minore nella nuova famiglia. Per l’adozione il lavoro degli operatori si conclude con l’inserimento definitivo del bambino (salvo esplicite richieste); per l’affidamento il lavoro continuerà perché la famiglia affidataria dovrà essere seguita e sostenuta nel suo compito.

Concludendo, per le ragioni sopra riportate contestiamo quegli operatori che con superficialità convertono le domande di adozione non esaudite, in domande di affidamento familiare. Questa deriva professionale rimane quella che è: una operazione professionalmente a rischio permeata di molte incognite. A mio avviso, l’operatore potrà vagliare questa ipotesi solo dopo aver compiuto attente valutazioni in regime di eccezionalità di condizioni, con la consapevolezza che quella famiglia andrà nuovamente e lungamente preparata e poi seguita con un lavoro più attento del solito.

Aspetti specifici

.L’affidamento familiare rappresenta una preziosa opportunità, all’interno di un ventaglio più ampio di interventi psico-sociali a favore della famiglia che spaziano dal momento preventivo, all’animazione e alla socializzazione, al sostegno, al trattamento specialistico, in grado di ridurre al minimo il ricorso all’istituzionalizzazione dei bambini.

Da quando si è caratterizzato come istituto giuridico questa forma di aiuto ai minori che vivono in famiglie temporaneamente in difficoltà, è diventata uno strumento cruciale di tutela, recupero e promozione. Una risorsa dalle grandi potenzialità ma anche da “maneggiare” con cautela per la complessità e delicatezza, per la pluralità degli attori, per la sua intrinseca intensità emotiva.

L’affidamento familiare consensuale (quindi non giudiziario) presuppone un’integrazione delle cure che il bambino riceve dai propri genitori con quelle offerte da un’altra famiglia, in una casa diversa dalla propria. Due famiglie, quindi, condividono la responsabilità di base qual il sostentamento, la protezione, la socializzazione e l’educazione.

Per definizione l’affido è un intervento temporaneo, salvo eccezionalità. Inoltre, l’affido è un intervento traumatico e può:

Potenzialmente apportare novità, crescita e arricchimento, ma essere anche stressante e doloroso;
Essere in molti casi il male minore, che tuttavia va, dove possibile, prevenuto per la salvaguardia del diritto del minore ad avere in primis la sua famiglia.
L’affido è uno strumento sofisticato e ha:

Un progetto e una gestione complessi con precise indicazioni e controindicazioni;
Necessità di una pluralità di figure preparate e integrate per dare risultati stabili.
Significato di alternativa alla famiglia naturale e che deve prevedere il suo recupero.
Il limite, per le assistenti sociali, di un uso assistenzialistico che lascia inalterate le difficoltà di fondo.
Il limite, per gli psicologi, di una prassi caratterizzata dalla routine, con continue tentazioni di fuga dal lavoro “sul territorio”, verso la psicoterapia privata, vista come unico contesto in cui sia possibile la creatività e la sperimentazione.
La delicatezza dell’istituto dell’affido coinvolge fortemente la famiglia affidataria, e questo è bene che si capisca sin dall’inizio. L’affido come l’accoglienza si basa su tre rischi: del provvisorio, del casuale e dell’emergenza. Nel caso dell’affido, tuttavia, si hanno più profonde implicazioni. Bauman ha dimostrato come esista nell’affido un aumento di drammaticità sino ad una assunzione di responsabilità che assomiglia alla nascita di un figlio. Un aspetto che per alcuni lati si rivela pericoloso perché si tratta pur sempre di un bambino figlio d’altri e una radicazione affettiva ed emotiva così profonda può sconvolgere la stessa natura dell’affido.

La famiglia affidataria rappresenta una soluzione per numerosi casi di multi-problematicità familiari dei nuclei di origine per quel che concerne i compiti di cura e di educazione dei minori ma fondamentale per i minori, in quanto valida alternativa a istituti e comunità che, per quanto cerchino di riprodurre il calore e i significati della funzione genitoriale, ne rappresentano solo dei meri sostituti. Tuttavia le famiglie affidatarie non sono esenti da difficoltà e fragilità a partire dalle motivazioni che le portano a formulare un progetto di generatività sociale. Infatti, tali famiglie offrendo la loro disponibilità ad accogliere un minore, possono esprimere indirettamente anche bisogni legati a dinamiche familiari e relazionali, che non sempre collimano o trovano risposta nel comportamento altruistico legato all’esperienza dell’affido.

Inoltre, le famiglie affidatarie si trovano ad affrontare, accanto ai compiti evolutivi genitoriali tradizionali nei confronti dei figli biologici, un insieme complesso di compiti evolutivi propri della famiglia affidataria che si possono articolare nel:

condividere il progetto di affido con i figli naturali, in rapporto all’età, con le proprie famiglie allargate e il proprio contesto relazionale;
curare l’inserimento del minore all’interno del nucleo familiare, bilanciando attenzioni e risorse fra i figli;
sviluppare una relazione genitoriale, attraverso un legame che dia al minore anche lo spazio di elaborazione del rapporto con la famiglia di origine, inserendosi nella dinamica emotiva del figlio «tra due famiglie», e cercando, per quanto possibile, che egli possa accettare e comprendere la propria famiglia naturale o/e l’eventuale vissuto problematico con essa;
rapportarsi in modo equilibrato con la famiglia naturale del minore, laddove sia possibile o richiesto;
rapportarsi con i servizi da cui trarre sostegno e guide per le problematiche legate al minore affidato e alle dinamiche familiari che si sono create e per i rapporti con il minore in relazione alla sua famiglia naturale;
rapportarsi con la rete di famiglie affidatarie che rappresenta una risorsa per quanto riguarda la possibilità di confrontarsi sulle specificità dell’esperienza dell’affido;
separarsi dal minore, che rappresenta un compito eccezionalmente delicato, durante la fase di distacco/allontanamento dal nucleo familiare affidatario, sia nel caso di rientro nella famiglia naturale, sia in un processo di accompagnamento ad una autonoma adultità.

 

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La GEA Società Cooperativa Sociale è una Cooperativa Sociale di tipo “A” (L.381/91), finalizzata alla gestione dei Servizi Socio – Sanitari ed Educativi.
Nasce a Bari–Palese nel giugno 1984 e nei diversi anni di attività ha sviluppato nell’ambito dei territori d’intervento, una rete socio–assistenziale ed educativa territoriale, sia con ...
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